Preply
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Venezia è la città più maleducata d’Italia. Il napoletano è il dialetto meno amato. Chi l’ha deciso? Un ente di ricerca? Un’università? No: Preply, una piattaforma che vende corsi di lingua online.

La notizia ha fatto il giro del web: decine di pagine social, blog e perfino testate giornalistiche hanno rilanciato in coro titoli come “Quali sono le città più maleducate d’Italia? Venezia maglia nera” o “Napoletano? Il dialetto più detestato d’Italia”, dimenticando però un piccolo dettaglio. Anzi due.

Preply: campione minuscolo e ricerca a scopo di marketing

Nel famigerato studio sulla maleducazione, Preply ha intervistato 1.558 persone distribuite su 19 città, ovvero una media di circa 82 abitanti per città. Già qui potremmo chiudere. Ma andiamo avanti: 9 regioni italiane su 20 non sono nemmeno rappresentate. Calabria? Niente. Sardegna? Assente. Marche, Umbria, Basilicata, Molise (che non esiste, diciamo Abruzzo e Molise come una volta)? Evaporate.

Eppure, Venezia si becca la medaglia d’oro della scortesia. Ma come? Con interviste basate su percezioni personali: “secondo te nella tua città si salta la fila?”. Nessun dato oggettivo. Nessuna osservazione diretta. Solo impressioni e giudizi soggettivi.

Ah, e ogni paragrafo dello “studio” si chiude con: “Vuoi imparare una lingua? Scopri i nostri corsi!” – perché, giusto ricordarlo, Preply è un sito che vende corsi. Non un istituto di sociologia.

Ma Preply non si è fermata lì: ha fatto anche la classifica dei dialetti più odiati

In un’altra “ricerca”, la piattaforma ha chiesto a 1.000 persone quali dialetti italiani non sopportano. Risultato? Il napoletano è il più detestato dai giovani, mentre il sardo e il siciliano non se la passano meglio.

Un dettaglio che fa riflettere: anche nelle stesse città dove i dialetti sono parlati, gli abitanti li detestano. A Palermo e Cagliari, ad esempio, una buona percentuale della popolazione trova il proprio dialetto “poco gradevole”.

Anche qui, ovviamente, ogni riga è accompagnata da offerte di corsi di lingua online, lezioni di francese, spagnolo o inglese. Perché l’obiettivo non è capire l’Italia, ma intercettare click.

Base dati: 1558 persone, 19 città, 11 regioni
Base dati: 1558 persone, 19 città, 11 regioni

La ricerca ripresa da pagine e quotidiani

Lo studio di Preply è stato ripreso da numerose pagine web e persino da testate giornalistiche nazionali, spesso senza alcuna contestualizzazione critica. Titoli come “Venezia è la città più maleducata d’Italia” sono circolati ampiamente, ignorando del tutto i limiti metodologici della ricerca. Nessuna menzione al fatto che le città coinvolte siano solo 19 su 20 regioni o che il campione sia composto da appena 1.558 persone. Ancora una volta, il bisogno di titoli virali ha prevalso sulla qualità dell’informazione.

Preply: dove sono i veri problemi?

Questi “studi” sono content marketing travestito da analisi sociale. La struttura è semplice:

  • prendere un tema virale (maleducazione, dialetti, turismo)
  • buttare giù un sondaggio veloce su Google Forms e altre piattaforme facilmente compilabili
  • inserire qualche dato con percentuali tonde o brevi risposte aperte
  • impacchettare tutto con grafiche colorate (oggi le realizza facilmente anche l’intelligenza artificiale portando l’impegno al minimo)
  • e chiudere ogni paragrafo con una call to action: “Scopri i nostri corsi!”

E il gioco è fatto: i giornali abboccano, i social rilanciano, e gli utenti litigano nei commenti. Intanto, nessuno si chiede se quei dati abbiano un briciolo di fondamento scientifico.

Il problema non sono tanto le pagine web (ad eccezione di alcune pagine attendibili, la maggior parte sono in cerca di visibilità, la colpa è dei follower poco curatori dell’attendibilità di chi leggono), ma le testate registrate che dovrebbero fare naturalmente un lavoro di fact-checking ma seguono quella ghiotta occasione di viralità che snaturalizza (in tutto o in parte) il giornalismo.

In sintesi?

Preply non sta facendo informazione. Sta facendo SEO con l’abito della sociologia. I suoi “studi” non sono strumenti per capire la società, ma esche per generare traffico e vendere corsi.

Eppure, nel 2025, basta dire “studio” per finire su un titolo giornalistico. Peccato che in mezzo a tutto questo la realtà italiana venga distorta, e il dibattito si trasformi in una gara a chi la spara più grossa.

Redazione Tana delle Volpi

Immagine di copertina Copyright Free realizzata con DALL-E

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