L’Ordine dei Giornalisti del Molise ha presentato una denuncia per esercizio abusivo della professione giornalistica (giornalismo abusivo sui social) nei confronti dei gestori di una pagina Facebook che, secondo l’ente, avrebbe svolto attività informativa in modo continuativo e organizzato, senza essere registrata come testata presso il tribunale competente.
La notizia arriva da un comunicato ufficiale pubblicato sul sito dell’Ordine, poi ripreso da diverse testate locali. L’avvocato Antonino Mancini, del foro di Isernia, ha sporto querela a seguito di un’attività di monitoraggio condotta dopo numerose segnalazioni da parte di giornalisti molisani, “giustamente incuriositi e turbati”.
Giornalismo abusivo sui social: la denuncia dell’Ordine
Secondo quanto si legge nel documento, la pagina in questione avrebbe mostrato “una attività stabile e continuativa di pubblicazione con caratteristiche di giornale”, ma senza alcun riferimento a una registrazione regolare come testata giornalistica.
Per questo motivo, l’Ordine ritiene che la condotta integri gli estremi del reato di esercizio abusivo della professione giornalistica (art. 348 del Codice Penale), oltre a possibili violazioni della legge n. 47/1948 sulla stampa, che impone l’obbligo di registrazione delle testate.
Giornalismo abusivo sui social: quando una pagina si crede un giornale
Negli ultimi anni (a partire dal 2016 e con una forte accelerazione nel 2020, durante la pandemia, quando il pubblico cercava un equilibrio tra informazione e intrattenimento) molte pagine social hanno progressivamente assunto le sembianze di vere e proprie testate.
Si è passati da pagine nate per la sola ironia o per la creazione di meme virali, a realtà che pubblicano notizie di attualità, cultura e costume con cadenza regolare, fino a quelle che rivendicano apertamente di avere una redazione strutturata e di svolgere un lavoro editoriale organizzato dichiarandosi media di informazione.

In gergo tecnico, parliamo di un processo di professionalizzazione spontanea del contenuto social, in cui soggetti nati come creator o community manager adottano pratiche giornalistiche (dall’editing al fact-checking) pur restando fuori dai vincoli formali della professione.
Ma cosa dice la legge?
Premettendo che chiunque può fare attività giornalistica, è bene distinguere tra l’informazione come pratica libera e il giornalismo come attività professionale regolamentata.
Fenomeni come il citizen journalism, il brand journalism o l’influencer journalism sono oggi pienamente riconosciuti e fanno parte del panorama mediatico contemporaneo. Tuttavia, il punto critico non è fare informazione, ma farlo in modo continuativo, organizzato e strutturato come una redazione.
Secondo la legge n. 47 del 1948 sulla stampa, qualsiasi pubblicazione periodica che svolga attività giornalistica in modo regolare deve essere registrata presso il tribunale competente come testata.
La registrazione comporta alcuni obblighi fondamentali:
- la presenza di un direttore responsabile, iscritto all’Ordine dei Giornalisti;
- la sede legale della redazione;
- e, nei casi previsti, l’indicazione del proprietario o dell’editore.
Senza questi requisiti, una pagina che pubblica notizie in modo continuativo si muove in una zona grigia: esercita di fatto un’attività giornalistica, ma senza le tutele (e gli obblighi) che la legge prevede. Ogni giorno sui social nasce una nuova “testata”.
Le caratteristiche delle pagine “a rischio”
Logo aggressivo, nome altisonante, bio piena di parole come news, breaking, informazione indipendente, media di informazione. Nessuna indicazione chiara di chi ci sia dietro, nessuna registrazione, nessun direttore responsabile. Però titoloni sulla cronaca nera, insinuazioni, screenshot di documenti, foto prese ovunque e il solito mantra: “noi diciamo la verità che gli altri non vi dicono”.
Per anni questo ecosistema è stato trattato come folklore digitale (rumoroso, ma tutto sommato innocuo).
Finché qualcuno non ha deciso di chiamare le cose con il loro nome. E con il loro articolo di legge.
In realtà questo porta a un vuoto normativo importante: una pagina non può fare informazione se non ha un direttore responsabile e non si registra in tribunale. Ma allo stesso tempo non può registrarsi come pagina ma ha bisogno di un giornale cartaceo o su un sito web tradizionale.
Il caso Molise: una denuncia che fa scuola
Nel comunicato, l’Ordine dei Giornalisti del Molise ipotizza anche ulteriori reati, tra cui diffamazione a mezzo stampa e violazione della privacy, in relazione ai contenuti pubblicati sulla pagina. Oltre alla denuncia per esercizio abusivo della professione giornalistica, l’Ordine ha chiesto alla Procura di Campobasso il sequestro preventivo della pagina Facebook, la rimozione dei post già pubblicati e la cessazione immediata dell’attività informativa non conforme alla legge, sollecitando anche l’intervento delle piattaforme e dei provider coinvolti per evitare nuove violazioni.
Secondo le ricostruzioni, la pagina operava come una vera e propria testata: pubblicava notizie in modo continuativo, con una struttura editoriale e una frequenza tipiche di un giornale online.
Peccato che mancasse tutto ciò che rende quell’attività legale: nessuna registrazione al tribunale, nessun direttore responsabile iscritto all’albo.
Il nome della pagina non è stato reso pubblico, ma il caso ha già acceso un dibattito tra giornalisti e operatori digitali. Per molti, si tratta di un precedente significativo: perché se ti presenti come un giornale, la legge ti tratterà come tale — con tutti gli obblighi e le responsabilità che questo comporta.

Le accuse: dal codice penale alla legge sulla stampa
La denuncia richiama l’articolo 348 del Codice Penale, che punisce l’esercizio abusivo di una professione, e l’articolo 5 della legge 47/1948, che impone l’obbligo di registrazione per le testate giornalistiche e la nomina di un direttore responsabile.
A seconda dei contenuti pubblicati, potrebbero inoltre configurarsi ipotesi di diffamazione a mezzo stampa e violazione della privacy. I giornalisti hanno sia maggiori obblighi (un contenuto diffamatorio è più grave) sia maggiori “concessioni” (hanno regole meno stringenti sul rispetto della privacy se trattano argomenti di pubblico interesse).
Non si tratta quindi di una semplice segnalazione, ma di una vera e propria azione giudiziaria con conseguenze potenzialmente pesanti.
L’Ordine ha anche chiesto il sequestro preventivo della pagina Facebook, la rimozione dei contenuti e misure verso le piattaforme per impedire la riapertura sotto altri nomi.
Libertà d’espressione o professione regolamentata?
Il dibattito, prevedibilmente, si è acceso: c’è chi parla di censura, chi di tutela della professione.
Ma il punto non è zittire nessuno. È distinguere tra libertà di opinione e attività giornalistica.
Chiunque può commentare, fare satira, raccontare un fatto, discutere l’attualità.
Ma quando un soggetto si presenta come testata, pubblica notizie in modo sistematico e usa un linguaggio e una grafica da redazione, entra in un territorio professionale che comporta obblighi, limiti e responsabilità specifiche.
È la fine delle pagine di Meme (e del giornalismo abusivo sui social) che fanno notizie, o sta arrivando una forte regolamentazione?
Redazione Tana delle Volpi
Immagine di copertina Copyright Free realizzata con DALL-E
